Vita, morte e miracoli del Rosso e degli altri colori
Antonio Risi



 

Dopo essere rimasto per tantissimo tempo tranquillo e protetto in una specie di utero che lo conteneva tutto, il Rosso fu costretto ad uscire da quell’ambiente caldo e accogliente.
La luce che lo colpì e lo circondò da ogni parte era completamente diversa dal buio di prima.
Si trovava in una specie di anfiteatro piatto; tutt’in giro, seguendo la curva del bordo, erano allineati altri colori. Nella parte centrale essi lottavano l’uno contro l’altro avvinghiandosi, azzuffandosi, aggrovigliandosi inestricabilmente fino a fondersi.
Il Rosso notò che a stabilire gli incontri rissosi erano misteriosi Esseri lunghi e sottili, con una estremità pelosa, che raccoglievano e mescolavano ora questo ora quel colore facendoli poi scomparire nessuno sapeva dove.
Qual’era – si chiedeva il Rosso – il destino finale dei colori? era attratto e nel contempo spaventato da quella mischia furibonda; da un momento all’altro vi sarebbe stato coinvolto anche lui.
Un grosso essere Peloso si avvicinò…..

Artemisia raccolse con un grosso pennello piatto tutto il rosso che aveva spremuto sulla tavolozza. Su una enorme tela dove aveva già steso diversi colori cominciò a stenderlo dal basso, chinandosi. Il pennello sfiorò la tela, salì verso l’alto con un andamento leggermente curvo. Attraversò un’ampia stesura di blu, dove il rosso prese un’aria di gioco infantile, scherzo carnevalesco, suono festoso di banda. Poi il blu lasciò il posto a stesure di giallo-verde: la traccia di rosso bruciò come una ferita, Ma Artemisia accompagnando il movimento del pennello si rialzava a poco a poco. Puledro a briglia sciolta il rosso scavalcò un arco verde che saliva in direzione opposta.
Artemisia stava ora perfettamente dritta davanti alla tela: per un attimo il suo braccio si stese orizzontalmente, poi prese a sollevarsi., mentre la schiena s’incurvava leggermente all’indietro per equilibrare il peso. Adesso il rosso avanzava attraverso una superficie nerastra. Il pennello sembrava lasciare dietro di sé una scia di lava, di magma incandescente che fuoriusciva per ribollimenti sotterranei, profonde spaccature dell’anima. Finalmente quella zona fumosa finiva e veniva l’azzurro.
Artemisia, col braccio proteso verso il cielo, si tese nello sforzo di innalzare il suo gesto il più possibile. Ma ormai sul pennello tutto il colore si era esaurito: nell’azzurro stratosferico il rosso si spegneva frastagliandosi in filamenti ed arcipelaghi di macchie. Il pennello scarico percorse ancora un tratto della superficie della tela, poi se ne staccò. Artemisia fece qualche passo indietro per studiare l’effetto.

L’Essere Peloso e ne andò lasciando il Rosso disteso su una pianura sconfinata. Intorno a lui erano stesi i colori scomparsi. Alcuni stavano lì da chissà quanto tempo e si erano essiccati, altri si stano asciugando a poco a poco; nemmeno il Rosso era più fluido come prima. Comprese che presto si sarebbe indurito anche lui e si chiese se quello che stava succedendo a tutti fosse la morte definitiva o l’inizio della vita eterna. Se gli dispiaceva morire, neanche lo attraeva la prospettiva di un’esistenza senza incertezze e senza avventura, fissato per sempre in una forma definitiva ed immutabile.
Mentre considerava amaramente l’una e l’altra possibilità il Rosso sentì che uno sguardo lo sfiorava, lo accarezzava, si posava sugli altri colori, tornava a sfiorarlo: comprese che la sua esistenza avrebbe avuto un significato grazie a quello sguardo e agli infiniti sguardi che sarebbero venuti dopo. Per loro virtù avrebbe vissuto infinite vite insieme ai colori che lo circondavano partecipando di quella sapiente armonia. Senza quella luce spirituale, intuì il Rosso in un rapimento estatico, i colori sarebbero scomparsi nel buio primordiale donde il piacere di essere guardati erano stati tratti.


 

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